Coronavirus, il farmacologo Garattini: «Potrebbe accadere che il vaccino non sia disponibile per tutti, ma solo per il Paese in cui è stato sviluppato»

“Quanto più il trattamento è numeroso, tanto più avremo la possibilità di debellare il virus. Quella che si chiama ‘immunità di gregge’, cioè immunità di gruppo, è un’immunità che richiede varie percentuali, a seconda del vaccino. In generale, per molti vaccini, ha richiesto percentuali di trattamento di addirittura il 95% ma, per quanto riguarda questo vaccino, non possiamo ancora dirlo, perché non sappiamo quale sarà la sua efficacia”.
Lo ha detto il farmacologo e fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, il professore Silvio Garattini, in un’intervista a Fanpage.it.
“Se, come molti dicono e viene riportato, arriverà entro la fine dell’anno, potrebbe però accadere che, per ragioni economiche ma anche nazionalistiche, il vaccino non sia disponibile per tutti, ma solo per il Paese in cui è stato sviluppato. E questo è un punto importante perché, avere il vaccino e non poterlo utilizzare, sarebbe un danno incredibile”, ha puntualizzato l’esperto.
“Se necessario, nel caso ci sarà un brevetto, i Governi dovranno arrivare a degli accordi per quelle che si chiamano le licenze obbligatorie. Vale a dire che, quando c’è un interesse di carattere pubblico, il brevetto può essere temporaneamente annullato per permettere la produzione delle quantità necessarie per quel determinato Paese. Anche perché il prezzo imposto potrebbe essere alto e magari tanti Paesi non hanno le risorse per poterlo acquistare, con il rischio che diventino una fonte di ulteriori focolai e infezioni. Per le necessità di tutto il mondo serviranno miliardi di dosi e, parlando dell’Italia, dove ci sono industrie in grado di riprodurre il vaccino, serviranno molte decine di milioni di dosi. Siamo 60 milioni…”.
“Se poi si tratterà di un trattamento obbligatorio oppure raccomandato, sarà una decisione di tipo politico”, ha aggiunto.
Prima del vaccino “Potrebbero arrivare dei farmaci che sono attivi, cosa che sarebbe di più veloce attuazione per la terapia, non certo per la prevenzione. Ci sono molti studi in corso, quindi è un’altra possibilità. E speriamo, anche in questo caso, che qualcuno ci arrivi rapidamente. Magari, sarebbe già un risultato, sapere se molti dei trattamenti che si stanno facendo non sono attivi perché, viste anche le tossicità che comportano, si eviterebbero terapie inutili”.
Se gli studi in atto sono efficaci “È ancora presto per dirlo, anche perché questo studio cinese è stato un po’ criticato. Per fortuna ci sono parecchi studi in corso, anche in Italia, per cui abbastanza presto sapremo quali sono i risultati. Questi studi sono sul remdesivir, sul tocilizumab, che è un farmaco antinfiammatorio usato nell’artrite reumatoide, ci sono quelli sull’idrossiclorocochina, sulla colchicina, sull’eparina e dovrebbe partire anche uno studio sull’ivermectin, che è un farmaco antiparassitario per cui si è osservato un effetto antivirale in vitro. E ci sono molti altri farmaci in corso di sviluppo e sperimentazione, per cui speriamo che anche da questi venga fuori qualcosa”, ha affermato il farmacologo.
Farmaci e vaccino, “Ci vogliono tutti e due gli approcci. Dal un lato, se il coronavirus cambierà, se ci saranno mutazioni, sarà come per il vaccino per l’influenza perché, quando un vaccino è disponibile, è facile adattarlo a cambiamenti di mutazione. D’altra parte la disponibilità di farmaci è sempre molto importante per coloro che non si possono vaccinare per varie ragioni o anche nel caso in cui non ci si voglia vaccinare. Per cui le due strade vanno portate avanti contemporaneamente”, ha concluso Garattini.