Coronavirus, professor De Donno: «Il plasma, in questo momento, è l’unico farmaco specifico contro il covid ed è molto più potente di un vaccino»

«Il plasma, in questo momento, è l’unico farmaco specifico contro il covid. Non ce ne sono altri. E’, cioè, l’unico farmaco che agisce utilizzando le sostanze bioumorali presenti nel sangue dei guariti e usando gli anticorpi diretti contro il coronavirus. In pratica, è come se noi inoculassimo nei pazienti malati un vaccino che ha fatto il suo effetto dopo 20 giorni. Il plasma, quindi, è un qualcosa di molto più potente di un vaccino».
Così il professor Giuseppe Di Donno, primario del reparto Pneumologia dell‘ospedale Carlo Poma di Mantova, intervenendo ai microfoni di “Lavori in corso”, su Radio Radio.
Di Donnoha avviato una cura sperimentale sui pazienti gravi affetti da coronavirus utilizzando il “plasma di convalescenza”, ovvero il plasma donato dai pazienti di covid infettati e poi guariti.
«Il bello» – ha spiegato lo pneumologo – «è che il nostro modello non varrà solo per il covid, ma in generale per tutte le manifestazioni virologiche che potrebbero presentarsi in futuro. Non utilizzare il ‘plasma di convalescenza’ non è un peccato veniale, ma un peccato mortale. Dico questo perché fino a questo momento abbiamo avuto qualche ostacolo per esportare questa terapia. L’ospedale San Matteo di Pavia è stato il capofila della sperimentazione con l’ospedale Carlo Poma di Mantova, ma siamo rimasti in due. Adesso si stanno muovendo altri centri medici, che stanno vedendo il nostro grado di soddisfazione sui primi 50 pazienti. C’è Padova che è pronta a partire col nostro protocollo. E tutto questo per noi è fonte di gioia, siamo orgogliosi che questo protocollo venga esportato. In questo momento, grazie ai nostri appelli social e televisivi ai donatori di sangue, solo oggi ho ricevuto 300 email di persone guarite da covid, che hanno espresso la volontà di donare il plasma. Con la plasmaterapia riusciamo a svezzare i pazienti dalla ventilazione meccanica in tempi rapidissimi: se prima erano necessari circa 15 giorni, adesso riusciamo a dimetterli dopo 5-6 giorni, ma già dopo 24 ore iniziamo il percorso di svezzamento dal ventilatore meccanico. In realtà, siamo molto cauti, perché potremmo svezzarli anche prima delle 24 ore».
Il professore ha poi commentati i dati su contagi, morti e ricoveri: «Oggi, a una settimana da Pasqua e Pasquetta, nel nostro Pronto Soccorso abbiamo avuto un aumento di accessi e nella terapia intensiva che dirigo sono arrivati 4 giovani con gravi forme di polmonite. In base alla mia esperienza, ogni volta che apriamo qualcosa si ha un picco di re-infezione. Secondo me, con la riapertura del 4 maggio succederà questo. Vediamo un calo certo degli accessi negli ospedali e nelle terapie intensive per due ragioni: i medici di base iniziano a trattare i pazienti a domicilio, bloccando così la patologia nelle prime fasi. Infatti la percentuale degli infetti non cala, il plateau è sempre quello, proprio grazie al lavoro dei medici di famiglia Il secondo motivo sta nel fatto che i medici di area covid hanno imparato a gestire meglio i pazienti nelle forme intermedie, evitando così che vadano in terapia intensiva. E questo ha permesso alle rianimazioni di svuotarsi. Il dato della mortalità si spiega col fatto che molti pazienti muoiono a casa, nelle Rsa e nelle Rsd. E’ un fenomeno che va valutato bene. Quando leggo che l’indice di contagiosità R0 si è ridotto a 0,8, dico sempre: cerchiamo di essere cauti, perché quell’indice aumenterà quando riapriremo».