Lopalco: «Per decidere quando avviare la Fase 2 non mi fiderei del valore di R. Necessari almeno altri quattro o cinque indicatori»

«È evidente la necessità che il lock-down debba allentarsi. Sembrerebbe che la cosiddetta Fase 2, ovvero la ripresa progressiva delle attività produttive, ma anche sociali, si stia avvicinando. Ma sulla base di quali informazioni il Governo dovrebbe decidere di modificare le attuali misure di distanziamento sociale? Certamente non possiamo aspettare che tutte le Regioni italiane arrivino a notificare in un tempo ragionevole zero casi. Aggiungo io: speriamo! Se infatti si arrivasse in breve tempo da qualche migliaio di notifiche a zero segnalazioni vorrebbe dire una cosa sola: che il sistema di sorveglianza non funziona».
Così Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all’università di Pisa e coordinatore della task force per le emergenze epidemiologiche della Regione Puglia, in un intervento sul portale ‘Medical Facts’ del virologo Roberto Burioni.
«Una riflessione è appunto necessaria per comprendere cosa sia un sistema di sorveglianza,» – spiega l’epidemiologo – «che è ben diverso da un registro di malattia. Un registro di malattia, infatti, ha come caratteristica principale la completezza: deve cioè tendere a contenere al suo interno tutti i casi di quella determinata malattia. Un sistema di sorveglianza invece no: è pensato e strutturato per monitorare l’andamento di una malattia e solo stimare la grandezza del fenomeno. Ecco perché in un sistema di sorveglianza un certo livello di sottostima è sempre presente ed è anche accettato».
«Nello specifico del sistema di sorveglianza COVID-19, bisogna tenere a mente che quello che si notifica sono le segnalazioni dei tamponi positivi da parte dei laboratori. Chi ha l’infezione da SARS-CoV-2, ma risulta negativo al tampone non viene segnalato. Chi ha una polmonite e non gli si fa il tampone non viene segnalato. Chi muore e non aveva fatto il tampone non viene segnalato. Capite bene dunque che anche ad avere zero casi notificati in un certo territorio non vuol dire certo che il virus non sia presente su quello stesso territorio. Come possiamo allora fidarci dei numeri? Ha senso fare curve, modelli, proiezioni, calcoli di R0 se ci basiamo su questi numeri? La risposta è si, ma bisogna essere consapevoli che il fattore di sottostima esiste, può essere importante e dare dunque a queste stime e modelli il giusto peso», scrive ancora Lopalco.
Secondo Lopalco «in questo periodo, che precede appunto la fatidica Fase 2, sarebbe necessario raccogliere informazioni dettagliate sulla capacità dei diversi territori di condurre un’accurata sorveglianza epidemiologica. Solo allora saremmo sicuri che i dati rivenienti dal sistema di sorveglianza ci forniscono informazioni affidabili».
L’esperto elenca poi alcuni indicatori che, per esempio, potrebbero servire allo scopo:
– Quanti tamponi per 1.000 abitanti si riesce a fare in una settimana?
– Quanti tamponi sul totale risultano positivi?
– Qual è la quota di casi di COVID-19 registrati dal sistema di sorveglianza di cui non si conosce l’origine?
– Quanti focolai di trasmissione (catene di contagio) sono ancora aperti?
– Qual è la quota di casi COVID-19 che giungono alla segnalazione per la prima volta come “casi gravi”?
– Esiste un sistema di sorveglianza di “tosse e febbre” diffusa sul territorio attraverso pediatri di famiglia e medici di medicina generale che segnali precocemente eventuali focolai epidemici?
– Esiste un sistema di allerta che in tutti gli ospedali del territorio sia in grado si segnalare un eccesso di ricoveri di malattia respiratoria acuta grave?
«Insomma, per decidere quando avviare la Fase 2 non mi fiderei del valore di R, né tanto meno del numero di casi che tende a zero. Servirebbe che almeno quattro o cinque degli indicatori di cui sopra, che rappresentano solo un piccolo esempio, avesse un valore soddisfacente rispetto a uno standard. Sono sicuro che prima della Fase 2 lo sapremo», conclude Lopalco.