Il virologo Pregliasco: «Dopo i ponti del 25 aprile e del 1 maggio credo che si arrivi ad un livello di accettabilità di rischio tale per cui si possa ripartire»

«Bisogna valutare giorno per giorno l’andamento epidemiologico. È vero la situazione sta migliorando; le terapie intensive si stanno leggermente svuotando ma ci sono ancora almeno 3mila casi al giorno. Rispetto a prima, oggi siamo più capaci di individuare i casi però la situazione vede due Regioni, Lombardia e Piemonte, ancora molto impegnate. Una situazione che nei giorni prossimi dovrebbe migliorare però secondo me più insistiamo, più la fase 2 potrà partire con maggiore serenità e quindi anticipare le aperture vuol dire aprire i rubinetti dei contatti aumentando così il rischio infezione».
Così Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano, ospite della trasmissione ‘Circo Massimo’ su Radio Capital, sulla possibilità di anticipare la fase 2.
Dopo i ponti del 25 aprile e del 1 maggio «credo che si arrivi ad un livello di accettabilità di rischio tale per cui si possa ripartire. Soprattutto per quanto riguarda gli aspetti del lavoro, delle attività strategiche, bar, ristoranti, dobbiamo mandarli molto avanti solo così riusciremo a ripartire», ha detto ancora Pregliasco.
Sull’ipotesi di riaprire regione per regione, il virologo ha spiegato che «in regioni dove il virus non è diffuso, tantissime persone sono ancora suscettibili, anche più che in Lombardia. E la possibilità è che, aumentando gli spostamenti, possano nascere nuovi focolai. Sarà questa la scommessa. Credo che il concetto di regionalizzazione ci stia in un’ottica di individuazione di zone a rischio».
Secondo Pregliasco è necessario «un monitoraggio continuo, un’attenzione e una percezione del rischio che tutti i cittadini devono avere ancora come approccio alla convivenza civile con quel distanziamento che deve diventare ancora per diversi mesi un’abitudine anche nei prossimi mesi».
«Questo virus «è perfido ed è arrivato sicuramente in Italia a dicembre, gennaio. Oggi si diffonde nelle famiglie, tramite qualcuno che ha continuato a lavorare, e anche nelle Rsa, dove ci sono le persone più fragili».