Rezza (Iss): «Non bisogna correre troppo. Quando si deciderà di riaprire, lo si dovrà fare con molta gradualità»

«Non bisogna correre troppo. Quando si deciderà di riaprire, lo si dovrà fare con molta gradualità».
Così il direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, Giovanni Rezza.
«Per me siamo ancora nella fase 1. Il trend mostra miglioramenti, i modelli matematici ci dicono che la trasmissione si sta riducendo. Ma il numero delle persone infette rimane elevato e i decessi anche». «Dico che le Regioni possono agire con ordinanze proprie. Ma se alcune attività dovessero ripartire, spero che lo facciano con tutte le precauzioni del caso. Perché il virus non sparirà per incanto», ha aggiunto.
Secondo l’esperto non è una buona idea che l’Italia riparta ‘a scaglioni’. «Sono più favorevole a provvedimenti su scala nazionale. Peraltro non credo che in Lombardia ci sia una percentuale tale da far pensare che si sia raggiunta l’immunità di gregge. E le regioni del Centro-Sud sono state poco contagiate, ma hanno meno strumenti per difendersi».
«Quando si riaprirà, il virus potrà tornare a colpire e ci saranno nuovi focolai. In quel caso dovremo intervenire subito per chiudere pezzi di territorio. Più basso sarà il livello di diffusione del virus, più efficaci saranno gli interventi. Del resto zone rosse sono state fatte ovunque, a Codogno e Vo, in Emilia, in Campania e in Lazio», ha aggiunto Rezza.
Per la ‘fase 2’ «Beh, stiamo lavorando a una serie di strumenti che dovrebbero poter avere efficacia in quest’ottica: i tamponi, i test, il tracciamento dei contatti, la nuova app. Ma certo, in Corea mica hanno fatto tutto così: era pieno di squadroni di omini bardati e in tuta». Il personale «Andrà trovato. Non è compito mio. Comunque abbiamo assistito in questi anni a un depauperamento del sistema sanitario e a un invecchiamento del personale. L’emergenza è l’occasione per reagire e migliorare».
«Sono anni che la sanità peggiora drasticamente, in due mesi non si può ribaltare la situazione. Ma molto in questi giorni è stato fatto, a cominciare dall’aumento dei posti letto nelle terapie intensive» – e ancora – «Dobbiamo esserlo, ambiziosi. Per ora stiamo sotto una campana di vetro, nel grembo materno dell’isolamento sociale. Ma nuovi focolai ci saranno. Quindi, una volta decongestionato il sistema ospedaliero, andranno rafforzati i dipartimenti di prevenzione delle Asl e andranno trovate nuove risorse umane», ha puntualizzato il medico.
Per quanto rigurda la questione Lombardia e Veneto, «Diciamo che la Lombardia ha un sistema ospedale-centrico, con ottimi nosocomi. Il Veneto ha privilegiato i dipartimenti di prevenzione sul territorio. Però sono situazioni non paragonabili: la Lombardia è stata aggredita da subito da un carico di malati enorme».
I testi sierologici si faranno, «Sì, ma non a dare patenti di immunità, se sta pensando a quello: ci vorrebbero test attendibili al 99 per cento. I test ci aiuteranno a stabilire la siero-prevalenza, ovvero a farci capire quanto e dove il virus si è diffuso sul territorio». «Io sono un medico: per me il rischio dovrebbe essere zero. Ma capisco che non è una tesi sostenibile fuori dalla medicina. Sarà la politica a stabilire quale grado di rischio dovremo accettare, in cambio della libertà», ha concluso.