Epilessia, quando dietro un attacco si nasconde qualcosa di più grave

Convulsioni, perdita di coscienza, disturbi del linguaggio, alterazioni percettive.
Sono alcuni orribili sintomi dell’epilessia. Secondo le stime in Italia sarebbero circa 500mila le persone affette dalla patologia.
I sintomi possono essere tenuti sotto controllo, ma dietro un seplice attacco epilettico a volte si possono nascondere conseguenze più gravi. “Può essere la spia di condizioni di per sé gravi come un tumore cerebrale o un’infezione cerebrale”, spiega in un’intervista a Fortesano.it il dottor Pierluigi Bertora, ricercatore, responsabile UOS Stroke Unit ASST FBF Sacco del Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche L. Sacco all’Università degli Studi di Milano.
Dottor Sacco ci può spiegare cosa è l’epilessia?
“L’epilessia è una malattia del sistema nervoso centrale nella quale chi ne è affetto presenta in maniera ripetitiva degli eventi, denominati crisi epilettiche, che insorgono senza causa apparente.
Sarebbe più corretto parlare di epilessia come uno spettro di malattie che si differenziano in base alle cause, età di insorgenza, manifestazioni cliniche, evoluzione nel tempo e prognosi.
L’epilessia è una patologia frequente, in Itala si stima che vi siano circa 500.000 persone affette.
Tuttavia, le persone che possono presentare una crisi epilettica nell’arco della loro vita sono molte di più, ma, di queste, solo una parte ha altre crisi e quindi riceve una diagnosi di epilessia”.
Ci sono segni che ci avvisano dell’arrivo di una crisi?
“Le crisi epilettiche possono presentarsi in molti modi e non sempre sono facilmente riconoscibili. Frequentemente si manifestano con movimenti involontari, ritmici di una parte del corpo (clonie), convulsioni generalizzate, perdita totale o parziale di coscienza, disturbi del linguaggio, alterazioni percettive.
La loro durata è generalmente breve, da 10-15 secondi a pochi minuti.
Le crisi possono presentarsi, come è già stato detto, in maniera imprevedibile, ma la loro comparsa può essere indotta o facilitata da stimoli o situazioni particolari. Per esempio con l’addormentamento, il risveglio, la privazione di sonno, l’ipertermia, l’abuso o l’astinenza da alcol o droghe, l’esposizione a luci intermittenti, alcuni farmaci.
A volte possono essere precedute da sintomi premonitori, la cosiddetta ‘aura epilettica’, che si presenta con sensazioni strane (odori, suoni, sensazione di ‘peso’ epigastrico ecc.) ma spesso la loro insorgenza è del tutto imprevedibile”.
Quali sono gli individui più esposti al rischio?
“L’epilessia può insorgere a qualsiasi età e in qualsiasi persona ma è più frequente nei giovani e negli anziani.
Vi sono ovviamente molte situazioni che predispongono o che comunque aumentano il rischio di epilessia. Tra le altre, per esempio una storia di sofferenza cerebrale perinatale, alterazioni dello sviluppo neurologico, malattie genetiche come ad esempio la sindrome di Down, infezioni (meningiti, encefaliti), traumi cranici in particolare con frattura cranica, malattie metaboliche, l’avere subito interventi neurochirurgici al capo, la presenza di lesioni cerebrali di varia natura (ischemie cerebrali, emorragie, tumori, ascessi).
Esiste anche una predisposizione familiare per molte epilessie, in particolare per quelle cosiddette ‘primarie’ nelle quali è possibile identificare una causa genetica”.
Quali sono le cause?
“Come detto poc’anzi, le cause di un’epilessia possono essere moltissime. Attualmente si tende a classificare le epilessie in base a tre gruppi proprio in relazione alla causa: le epilessie primarie, ossia su base genetica (mutazioni che inducono modificazioni dell’eccitabilità delle cellule nervose), le epilessie sintomatiche, ossia nelle quali l’epilessia è conseguente a una lesione di altra natura (per l’appunto traumi, infezioni, emorragie, tumori) e, per finire, le epilessie cosiddette ‘criptogenetiche’ ossia nelle quali non è possibile riconoscere una causa certa”.
Come si cura?
“Va premesso che la terapia dell’epilessia presuppone una corretta e approfondita valutazione per identificare le possibili cause sottostanti e per tracciare un quadro prognostico.
Occorre pertanto effettuare esami diagnostici approfonditi (elettroencefalogramma, risonanza magnetica cerebrale, esami ematici) e cercare di inquadrare il tipo di crisi, la frequenza, gli eventuali fattori scatenanti, le malattie concomitanti per porre una diagnosi corretta.
Curare l’epilessia presuppone anche un approccio molto chiaro che consiste nel cercare di spiegare al paziente cos’è questa malattia, la sua possibile evoluzione, le possibilità di trattamento, l’impatto che la patologia e il trattamento hanno sulla vita di tutti i giorni.
Ancora oggi vi sono molti pregiudizi nei confronti della persona epilettica che rischia di venire isolata, emarginata e che vanno per questo combattuti.
I principi del trattametno dell’epilessia sono:
– L’utilizzo di farmaci (antiepilettici) che possono ridurre il rischio di ricorrenza delle crisi; il trattamento, se possibile, dei fattori causali nelle forme sintomatiche;
– L’educazione sanitaria della persona affetta. Questa deve comprendere l’importanza di attenersi alle indicazioni fornite dal proprio neurologo curante e di evitare tutte le situazioni che possono facilitare l’insorgenza delle crisi.
Vi sono molti farmaci antiepilettici e la scelta viene fatta in relazione al tipo di crisi, all’età del paziente, a eventuali malattie concomitanti o altri farmaci assunti che possono interferire.
Nel corso della terapia con farmaci antiepilettici vengono spesso eseguiti esami di laboratorio che permettono di valutare la comparsa di fenomeni di tossicità indotta dai farmaci o di misurarne il valore ematico, se ciò viene rituento opportuno, soprattutto in particolari situazioni.
Esiste anche la possibilità di un trattamento chirurgico dell’epilessia che consiste nella rimozione o nell’isolamento del ‘focolaio epilettigeno’, ossia di quella specifica regione dell’encefalo che ‘genera’ le crisi.
Si tratta di interventi molto complessi e delicati che richiedono una selezione accurata e uno studio approfondito di ogni singolo caso e che vengono effettuati attualmente da pochissimi centri a elevata specializzazione”.
Si guarisce?
“Vi sono alcune forme di epilessia del giovane che vanno incontro a una spontanea guarigione, al punto che spesso, in questi casi, non si ritiene neppure necessario iniziare una terapia antiepilettica.
Vi sono anche situazioni in cui, dopo un periodo di terapia farmacologica libero da crisi, si può procedere a una riduzione graduale del dosaggio dei farmaci antiepilettici fino a sospenderli del tutto.
In questi casi, e soprattutto se non vi sono lesioni cerebrali sottostanti, il paziente può restare libero da crisi (e quindi si può considerare ‘guarito’).
Negli altri casi, che sono la maggioranza, l’epilessia come tale non ‘guarisce’ ma può essere tenuta sotto controllo con una terapia adeguata al punto da permettere alla persona affetta di condurre una vita del tutto normale, fatte salve le necessarie cautele e in particolare l’evitare situazioni che possano scatenare una crisi”.
L’attacco epilettico può essere sintomo di qualcosa di più grave?
“Purtroppo sì. Di fronte a una persona che presenta una prima crisi epilettica molto di ciò che viene fatto è proprio volto a identificare una possibile causa.
Una crisi epilettica può, ad esempio, essere la spia di condizioni di per sé gravi come un tumore cerebrale o un’infezione cerebrale.
Il rischio di sottovalutare il problema è che la patologia che causa la crisi – o l’epilessia – non venga diagnosticata e trattata in tempo, con conseguenze che possono essere gravissime o addirittura fatali”.