Gastrite, l’infiammazione dello stomaco da non trascurare: «Può compromettere la vita sociale»

Bruciore di stomaco, crampi, nausea o vomito? Potrebbe trattarsi di gastrite. “Il sintomo più comune è la percezione del bruciore alla bocca dello stomaco, ovvero nella parte più alta della pancia, al centro”, spiega il dottor Gabriele Prinzi, chirurgo laparoscopista, esperto di patologie gastro intestinali, in un’intervista a Fortesano.it. “Il fastidio si può avvertire poco dietro lo sterno, l’osso al centro del torace”.
La gastrite è una patologia da non sottovalutare. “Può avere delle conseguenze sulla capacità digestiva ma anche sulla vita sociale di chi ne è affetto”, afferma Prinzi.
Cosa è la gastrite?
“Per poter capire cosa è la gastrite bisogna prima sapere in che modo è fatto lo stomaco. È costruito per essere a contatto con l’acido, un elemento molto corrosivo, da quando nasciamo a quando moriamo. Per questo motivo, lo stomaco – che è il viscere più vascolarizzato, quello che ha più vene e arterie nell’addome – ha in natura dei fattori che lo proteggono dall’aggressività di questo acido.
I fattori protettivi sono: una parete molto spessa, è di circa 8 cm; e, uno strato di muco molto compatto all’interno. Questo fa in modo che le pareti dello stomaco non vengano mai a contatto con l’acido.
Si ha una gastrite quando c’è uno squilibrio di questi fattori. Quando vengono meno, in qualche maniera, si verifica un contatto, più aggressivo o più lungo del normale, tra la parete dello stomaco e l’acido. Ne deriva l’infezione chiamata gastrite”.
Quali sono le cause?
“La causa, forse la più conosciuta dagli italiani, è collegata a quello che mangiamo e beviamo.
Ci sono delle sostanze che in generale vengono chiamate nervini: cacao, caffeina, succo di pomodoro, anche il thè. Questi hanno la capacità di accrescere la produzione di acido gastrico. Aumentando i fattori aggressivi è come se diminuissero quelli protettivi.
Poi ci sono anche delle infezioni specifiche. La più nota, ma non l’unica, è l’Helicobacter pylori.
Alcune gastriti sono causate invece da farmaci che possono intervenire o aumentando la produzione di acido, o riducendo la produzione dei fattori protettivi dello stomaco.
Quelle più rare sono le alterazioni anatomiche, che attengono più al chirurgo. Possiamo nascere con delle alterazioni per cui il cambiamento dell’anatomia predispone lo stomaco ad essere infiammato”.
C’è un’età in cui l’incidenza è più alta?
“C’è stato un periodo in cui l’epidemiologia della gastrite era soprattutto a favore degli anziani, in particolare a quelli sottoposti a un certo tipo di terapia farmacologica.
È una patologia che colpisce anche gli alcolisti per esempio.
Oggi, però, si assiste alla presenza di gastriti anche in giovane età. Inoltre sta arrivando sempre più forte l’evidenza che le gastriti possano essere le prime manifestazioni di problemi come malattie immunitarie, infiammazioni e intolleranze alimentari”.
Quali conseguenze può determinare la gastrite?
“Ci sono due conseguenze immediate. L’alterazione della nostra capacità digestiva: lo stomaco è una specie di macina, deve ridurre il cibo in quantità molto piccole per riuscire poi a farle passare nell’intestino. Un eccesso di acidità spesso è accompagnato da una difficoltà dello stomaco a digerire, a fare il suo lavoro e svuotarsi.
La seconda conseguenza diretta, che ha un peso sulla vita sociale e lavorativa, è la sofferenza legata alla presenza delle percezione costante di questo acido e bruciore”.
A cosa servono i gastroprotettori?
“Gli inibitori di pompa protonica, i gastroprotettori, hanno cambiato radicalmente la salute e la medicina. Perchè hanno la capacità di riparare, anche le ulcere, nell’arco di uno, due mesi.
Sono dei farmaci che se utilizzati in maniera corretta sono spettacolari.
Il limite è che però si è creduto così tanto a questi farmaci che siamo passati dall’uso corretto a quello inappropriato. Per esempio l’utilizzo cronico, per 20-30 anni. Se le prescrizioni sono molto lunghe, probabilmente c’è stato un errore di diagnosi.
Non è il farmaco che è sbagliato o che non serve, ma è l’uso che ne facciamo, che può essere corretto oppure scorretto”.